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Candeberi, Candeberi…

Candeberi, candeberi, cotu ndi eis? Si ndi donais? oppure Candeberi, candeberi, si ddu fais su candeberi? Nonna mi aveva raccontato che, anticamente, quando si andava a chiedere su candeberi, quelle fossero le giuste frasi da pronunciare. Ci tenevo a farla contenta, a conservare e riutilizzare le cose antiche che mi insegnava. Mi sembrava di mantenere una promessa.

Siamo nel pieno degli anni ’90, quando frequentavo le elementari e andavano di moda i Biker Mice, le Sailor Moon e le Barbie: tutti avevamo degli zainetti con questi marchi. Le bambine indossavano Lelli Kelly rosse che si illuminavano sul tacco e delle calzette bianche, corte, con il pizzo che sporgeva tutto intorno. I più grandetti avevano anche delle tute da basket che si aprivano, a strappo o coi bottoni, sul lato delle gambe.

La mattina del 31 dicembre, in piccoli gruppi, che di solito corrispondevano agli amici del vicinato, giravamo per tutta Gonnos con su scateddu alla mano, il cestino per la raccolta dei funghi, e lo zainetto sulle spalle. Quest’ultimo ci serviva per svuotare il cestino ogniqualvolta fosse stato pieno. Aspettavamo questo giorno con molta emozione. Anche perché era l’occasione per scoppiare petardi per strada. Dalle miccette ai miniciccioli fino ai magnum, che ci creavano più adrenalina.

L’ultimo giorno dell’anno era usanza suonare i campanelli di ogni casa ed entrare nei negozi a chiedere su candeberi. Era un rituale che accompagnava la chiusura dell’anno, che avrebbe creato le condizioni propizie per l’inizio del successivo. Per tutto il paese si potevano ascoltare e vedere frotte di bambini correre, schiamazzare ed attendere speranzosi che ogni compaesano adulto aprisse loro la porta e, vassoio o contenitore alla mano, infilasse nei loro cestini pugni di dolcetti. In passato – ma ancora l’usanza resta viva in certe case – le persone preparavano il grano cotto, su trigu cotu, con la sapa, simbolo di prosperità e buona fortuna, e offrivano ai bambini mandaranci e mandarini, noci, nocciole e mandorle, e talvolta qualche monetina. Ai nostri tempi erano soprattutto caramelle, merendine, biscotti, monete di cioccolato e qualcuna vera. Anche per noi non mancava mai la frutta secca e qualche agrume. A volte entravamo nelle cartolerie, dove ci regalavano matite, gomme e qualche penna. Una volta entrammo in una macelleria, dove, per gentilezza ci incartarono un pezzo di salsiccia fresca. Peccato che la portammo in giro per tutta la mattina, fuori dal frigo.

Davanti ad ogni campanello si attendeva con speranza. Era bello trovare signore e signori felici di accoglierci all’ingresso delle proprie case. Alcuni preparavano i dolcetti da dedicare a noi bambini dal giorno prima. Questo ci faceva sentire benvoluti. Altri, colti impreparati, ci chiedevano di tornare più tardi, che si sarebbero organizzati. Un anno fui particolarmente felice: una simpatica signora ci aveva accolto con un grande sorriso e aveva posizionato nei nostri cestini delle bustine per il freezer piene di pop-corn appena fatti. Quel gesto di cura, così originale, ci aveva entusiasmati. 

Talvolta, pur sentendo dei suoni all’interno della casa, nessuno ci apriva. Allora, da disgraziati quali eravamo, accendevamo un minicicciolo e lo facevamo esplodere sulla strada, nei pressi della casa, per poi scappare a gambe levate. Dispetto per dispetto!

Quando si arrivava al cancello di mia nonna, in via Piras, mi raccomandavo con tutti affinché ripetessero quella formula esatta. Così, quando lei ci apriva, tutti in coro…

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Testimonianza di Sabrina Tomasi (anni rif. 90)
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