Rurability

La vendemmia

Un tempo Gonnos era ricca di vigne. L’ultima volta che ho fatto la vendemmia avrò avuto circa 13 anni. Avevamo vigne a Nizzas, a sa Corromusa, a Genna e a Cadumbu. Il vino si produceva per consumarlo a casa. Le uve erano tutte miste, rosse e bianche: c’era Moscato, Malvasia, Nuragus, Monica, Cannonau e Semidano. Quest’ultimo aveva la pianta con i rami molto irregolari. Infatti, anticamente si diceva: “ses trevessu cument de una petia de semidanu”. 

Ricordo ancora una o due vendemmie fatte con il carro a buoi, ma successivamente andavamo con la “motoretta”. Si mettevano i teli di nylon e si ricoprivano anche le sponde del motocarro per non perdere il mosto per strada. Coi cestini si passava tra i filari e si tagliavano i grappoli, che si versavano in un contenitore di canna e olivastro, su cadinu, e poi venivano riversati sul motocarro. In seguito, abbiamo usato i corbelli in plastica, più comodi perché impedivano la fuoriuscita di liquidi.

Una volta fatto il carico, l’uva veniva portata a casa. Si passava dentro la deraspatrice a manovella. Questa serviva per la pigiatura. Da ragazzini, anche se avevamo la deraspatrice, a volte ci consentivano di pigiare ancora con i piedi. Durante questo procedimento l’uva passava dentro sa cubidina, il tino, di forma ovale, da cui si attingeva il mosto che si era liberato. L’uva pigiata passava poi nel torchio. Il mosto ottenuto dalla pressatura veniva messo nelle botti e lasciato fermentare.

L’uva bianca veniva pressata subito e se ne estraeva il mosto. Da questa si faceva anche su piriciou, che si otteneva recuperando una parte dell’uva pressata, ravvivata con vino dell’anno precedente e un po’acqua. Questo composto, lasciato riposare per uno o due giorni dentro sa cubidina, si pressava nuovamente e dopo una o due settimane si poteva bere.

Il vino rosso si lasciava nel tino per almeno una settimana o dieci giorni, per attivarne la prima fermentazione. Dopodiché il mosto veniva trasferito nelle botti, per la fermentazione. Per controllare questo processo si faceva un foro nel tappo della botte, vi si inseriva un tubicino di gomma che poi finiva dentro una bottiglia dove c’era dell’acqua. Dentro l’acqua gorgogliavano le bollicine sviluppate dal gas della fermentazione. Quando il gorgoglio si fermava, allora il vino aveva terminato la fermentazione e si poteva bere: si scupàt.

Bevevamo il mosto, che ci rendeva allegri e a volte ci procurava delle reazioni allergiche, delle eruzioni cutanee, per via dell’alto contenuto zuccherino: is guronis. Io aspettavo a berlo dopo la spremitura, quando era limpido e pulito e non avevo mai di queste reazioni.

In tutto il paese, in quel periodo, si sentiva un profumo particolare, perché nei cortili si ammucchiava la sansa d’uva. Si sentiva un continuo “tichete-tichete”. Erano i saltarelli del torchio, sa prentza, che muovendosi producevano questo suono.

Tra fine settembre e ottobre, ricordo bene i profumi del mosto e dell’uva e quando pioveva, l’odore della terra. Era una festa, eravamo sempre tanti e già si vedevano le prime “trattative” tra ragazzi e ragazze. Spesso, i primi approcci si avevano durante la festa di Santa Severa e poi, col passare delle stagioni, si continuava con gli sguardi e si aspettava la prossima occasione di incontro. Con s’aggiudu torrau, ci si aiutava a vicenda nelle varie attività agricole. Le famiglie del vicinato ed i parenti collaboravano anche alla vendemmia. Così, per i ragazzi era occasione di incontrarsi ancora.

In quell’occasione si pranzava in campagna. Ai bordi delle vigne c’erano sempre delle piante di fico. Una caratteristica gonnese era che, spesso, nello stesso terreno, le vigne si alternavano ai filari di ulivo. Quindi, per pranzo si cercava uno posto all’ombra sotto gli alberi e si mangiava tutti insieme.

ASCOLTA LA LETTURA DELLA TESTIMONIANZA
Testimonianza anonima (anni rif. 1960-1970)
Testimonianza anonima (anni rif. 1960-1970)