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House of Gucci: un’occasione mancata

Locandina italiana House of Gucci

Titolo originale: House of Gucci

Regia: Ridley Scott

Sceneggiatura: Becky Johnston

Fotografia: Dariusz Wolski

Montaggio: Claire Simpson

Interpreti: Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino, Jared Leto, Jeremy Irons, Jack Huston, Salma Hayek, Reeve Carney, Camille Cottin, Mădălina Diana Ghenea, Mehdi Nebbou, Miloud Mourad Benamara, Livio Beshir, Vincent Riotta, Gaetano Bruno

Durata: 157′

Colonna sonora: Harry Gregson-Williams

Distribuzione: Eagle Pictures

Origine/Anno: USA, Italia, 2021

Fonte: mymovies.it

House of Gucci è il tanto chiacchierato nuovo film di Ridley Scott, uscito nelle sale italiane il 16 Dicembre 2021 e tratto dal romanzo House of Gucci. Una storia vera di amore, avidità e crimine di Sara Gay Forden. Il celebre regista racconta un dramma familiare italiano che negli anni ‘90 ha coinvolto i Gucci, che di certo non hanno bisogno di presentazioni. Il film si concentra infatti sulla storia di Maurizio Gucci, rampollo della famiglia e figlio di Rodolfo, e sul suo rapporto tormentato con l’ex moglie Patrizia Reggiani, culminato con la morte di Maurizio su commissione della stessa. Di contorno, troviamo gli altri membri della famiglia: il già citato Rodolfo, ormai malato e prossimo alla morte, suo fratello Aldo e il figlio, nonché cugino di Maurizio, Paolo.

Il film, fin da subito, è stato oggetto di pareri fortemente negativi da parte della critica e del pubblico, che hanno visto in House of Gucci un ritratto grottesco e caricaturale dei componenti della famiglia, nonostante il cast stellare, per non parlare della superficialità con cui certe dinamiche sono state raccontate. Ciò che ha fatto storcere il naso a parecchi è la rappresentazione dell’Italia e degli italiani che traspare dal film, ovvero un’immagine fortemente stereotipata e basata su stantii e beceri (oltre che italoamericani) luoghi comuni che non hanno nulla a che fare con l’epoca in cui si svolge la vicenda. Da questo punto di vista manca totalmente un minimo di ricerca da parte della produzione, e per l’ennesima volta è stato dipinto sul grande schermo un ritratto dell’idea che gli statunitensi hanno dell’Italia, che non ha nulla di autentico. Questa tendenza è stata ulteriormente accentuata da una scelta linguistica azzardata e discutibile: i personaggi, soprattutto Patrizia, Maurizio, Aldo e Paolo, recitano in un inglese caratterizzato da un fortissimo (e stereotipato) accento italoamericano. Il motivo che sta alla base di questa scelta non risulta chiaro, anche perché una resa del genere risulta inutile all’interno della finzione narrativa. Fortunatamente nell’edizione italiana non vi è traccia di tutto ciò.

Fonte: mymovies.it

Un altro difetto evidente è il montaggio frammentato e poco chiaro: la pellicola procede a ritmo fin troppo veloce e forse proprio per questo non lascia il tempo a chi lo guarda di capire a che punto siamo della storia, perché certe cose succedono e quando succedono. Questo aspetto non consente di cogliere l’evoluzione psicologica dei personaggi e rende incomprensibili allo spettatore alcuni passaggi fondamentali della vicenda, che vengono spiegati male o non vengono spiegati affatto. A ciò si uniscono numerose difformità rispetto alla vicenda reale, in alcuni casi motivate dalla necessità di drammatizzare maggiormente la storia, in altri assolutamente prive di senso da un punto di vista narrativo.

Le interpretazioni degli attori, tranne alcune eccezioni, sono eccessive ed esasperate, sia nel linguaggio che nella gestualità. L’esempio più eclatante è il personaggio di Jered Leto, Paolo Gucci, che viene dipinto per tutto il film come una macchietta, un incapace buono a nulla, con un’interpretazione grottesca e deludente, se non al limite dell’offensivo.

In conclusione, House of Gucci avrebbe potuto raccontare una storia che già in sé è cinematografica, ma ha sbagliato su tutta la linea. Forse sarebbe stato meglio puntare alla realizzazione di un prodotto di durata minore ma con tutte le dinamiche tra i protagonisti ben strutturate, e soprattutto con un’attenzione maggiore alle loro storie personali.