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Il muto di Gallura: la leggenda diventa film

Titolo: Il muto di Gallura

Regia: Matteo Fresi

Sceneggiatura: Matteo Fresi, Carlo Orlando

Fotografia: Gherardo Gossi

Montaggio: Valeria Sapienza

Interpreti: Andrea Arcangeli, Marco Bullitta, Giovanni Carroni, Syama Rayner, Aldo Ottobrino, Fulvio Accogli, Nicola Pannelli, Andrea Carroni, Fiorenzo Mattu, Felice Montevino, Roberto Serpi, Francesco Falchetto, Stefano Mereu, Noemi Medas, Adele Armas, Andrea Nicolò Staffa

Durata: 103′

Colonna sonora: Paolo Baldini Dubfiles, Alfredo Puglia, Filippo Buresta

Distribuzione: Fandango Distribuzione

Paese/Anno: Italia, 2021

Fonte: mymovies.it

Una sanguinosa faida familiare ambientata nella Sardegna di metà Ottocento è la vicenda cardine de Il muto di Gallura. Il film, in concorso al 39° Torino Film Festival, è l’opera prima del regista Matteo Fresi. La storia è realmente accaduta ed è tratta dall’omonimo romanzo di Enrico Costa. Nel suo adattamento il regista è capace di coniugare azione, analisi antropologica e rappresentazione etnografica.

Una prospettiva originale

Il protagonista della vicenda è Bastiano Tansu, sordomuto dalla nascita e per questo emarginato dalla società e considerato alla stregua di un figlio del demonio. Ed è proprio in questo aspetto che la pellicola rappresenta una novità: il punto di vista principale è quello di un ragazzo tenuto in disparte, incapace di rapportarsi con il mondo e di crearsi un futuro. Le sue difficoltà di comunicazione vengono evidenziate anche mediante una serie di interessanti espedienti tecnici, che favoriscono l’immedesimazione dello spettatore.

Ma il destino di Bastiano cambia radicalmente quando tra la famiglia Vasa e quelle Mamia e Pilleri nasce una feroce faida. E così da semplice comparsa il muto diventa lo spietato vendicatore della famiglia Vasa, una figura quasi leggendaria. A guidare la sua mano sono le leggi dell’onore, che mal si conciliano con una legge scritta che viene percepita come estranea e ingiusta.

La lingua come strumento di identità

Un’aspetto degno di nota è sicuramente l’utilizzo della lingua sarda: il film è infatti interamente girato in sardo gallurese (e sottotitolato in italiano). La lingua è uno strumento potente, il simbolo di un popolo, di una cultura e di un territorio. La scelta di narrare questa vicenda nella lingua parlata a quel tempo assume dunque una forte valenza identitaria, e contribuisce a ricreare la giusta atmosfera storica.

Sebbene l’intento sia lodevole, il risultato tuttavia non è pienamente soddisfacente. L’intento storico ed evocativo è sicuramente raggiunto, ma la resa della lingua è a tratti poco naturale. La recitazione che ne risulta sembra più teatrale che cinematografica, e non tutto il cast padroneggia l’idioma allo stesso livello.

Questa mancanza di naturalezza in alcuni frangenti contribuisce ad appesantire un film che già di per sé è lento in alcuni suoi passaggi. Sarebbe stato forse più opportuno prediligere un ritmo più incalzante, considerando che l’azione è pur sempre uno degli elementi della vicenda.

Fonte: mymovies.it

Un muto di Gallura che parla

L’interpretazione che spicca maggiormente è quella di Andrea Arcangeli nel ruolo del muto. La parola è il mezzo attraverso cui possiamo esprimerci e rapportarci con gli altri. Ma Arcangeli riesce a comunicare grandi emozioni anche se il suo personaggio è privo di questo primario mezzo di comunicazione. L’attore riesce infatti con grande maestria a rendere espressiva, carismatica ed eloquente la figura di Bastiano Tansu. Lo sguardo e la gestualità fanno le veci della parola, e consentono allo spettatore di entrare in piena sintonia con il protagonista e di comprendere il suo silenzio.

Degne di nota sono anche le performances degli altri interpreti. Particolarmente interessante è l’interpretazione di Marco Bullitta (Pietro Vasa) e soprattutto di Sayma Rayner (Gavina). Quest’ultima riesce a rendere in modo perfetto l’innocenza del suo personaggio, l’unico a vedere in Bastiano un essere degno di essere amato e non temuto.

Una Sardegna selvaggia e sterminata

I luoghi scelti per le riprese sono molto suggestivi e fanno da sfondo in modo ottimale alla storia. Rendono infatti molto bene l’idea di una Sardegna antica e selvaggia. I paesaggi sono vasti, solitari, silenziosi ma allo stesso tempo evocativi di mille emozioni.

A ciò si unisce un certo gusto etnografico nella realizzazione dei costumi. Questi ultimi non sono mai banali e anzi denotano uno studio e un’attenzione particolare per la ricerca dell’autenticità.